Roma. Accademia dei Lincei. Edoardo Vesentini: «Non siamo un rifugio per persone anziane. Vogliamo offrire spazi di riflessione, di ricerca»

8-3-2024

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Roma. Accademia dei Lincei. Edoardo Vesentini: «Non siamo un rifugio
per persone anziane. Vogliamo offrire spazi di riflessione, di ricerca»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Edoardo Vesentini,
presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Federico Cesi (1586-1630) era un patrizio umbro-romano, appassionato studioso di scienze naturali, soprattutto di botanica. Per promuovere e coltivare questi studi naturalistici, fondò a Roma nel 1603 un sodalizio con tre giovani amici, l’olandese Giovanni Heckius (italianizzato in “Ecchio”), e gli umbri Francesco Stelluti e Anastasio de Filiis, denominando la loro compagnia come Accademia dei Lincei, per l’eccezionale acutezza di sguardo attribuita alla lince, un felino di ancor non estinta specie, preso a simbolo della dotta compagnia di studiosi. Oggetto del suo studio, nel disegno del Cesi, erano tutte le scienze della natura, da indagarsi con libera osservazione sperimentale, di là da ogni vincolo di tradizione e autorità. È questa la gran novità che caratterizza fin dal loro nascere i Lincei con un atteggiamento di rispetto ma non di vincolo nei confronti della precedente tradizione aristotelico-tolemaica, che la nuova scienza sperimentale rimetteva talora in discussione.

Ciò apparve chiaro subito agli inizi di vita della nuova Accademia, che contò dal 1611 tra i suoi Soci il gran nome di Galileo.
Sempre in quei primi anni, e fuori della cerchia galileiana, l’Accademia si estese secondo il generoso piano del Cesi a molti altri dotti italiani e stranieri, come il napoletano Della Porta e il tedesco Faber (Schmidt), cancelliere dell’Accademia. A questo più antico nucleo linceo, la cui collegiale attività è registrata negli atti del Lynceographum ora in corso di pubblicazione, risalgono importanti pubblicazioni e ricerche di astronomia, fisica, botanica: primeggiano fra esse lo studio sulle macchie solari e il famoso Saggiatore del Galileo stesso, e il cosiddetto Tesoro Messicano sulla flora, fauna e farmacopea del Nuovo Mondo, la cui laboriosissima vicenda di redazione e di stampa si protrasse per più decenni, fino al 1651.
A questa data, circa mezzo secolo dopo la fondazione dell’Accademia, la prima e più illustre fase della sua lunga vita era già conclusa. La intensa attività del Fondatore e Princeps, il Cesi, fu bruscamente interrotta dalla morte, che lo colse ad appena 45 anni nel 1630.
Alla morte prematura del Cesi, la sua creatura prediletta, l’Accademia, sbandò e si isterilì, nonostante gli sforzi generosi di dotti quali lo Stelluti e Cassiano dal Pozzo per salvarne il materiale e ideale patrimonio nell’avversa fortuna.
Rimase il nome insigne e la memoria di questo illustre sodalizio romano, che per due secoli più d’uno cercò di rinnovare: più importante di tutti, il tentativo ottocentesco dell’abate Scarpellini, con una sua Accademia fisico-matematica che si intitolò dei “Nuovi Lincei”. Ma un deciso ricollegarsi ai Lincei cesiani si ebbe solo ad opera di Pio IX, che nel 1847 ristabilì la seicentesca Accademia con l’antico nome, come “Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei”.

L’ultimo e definitivo restitutor dell’Accademia in Italia si ebbe però dopo il ’70 con Quintino Sella, lo statista e scienziato piemontese; nel riaffermato ideale della scienza laica quale primario valore da coltivare in Roma italiana, il Sella ridiede vita nel 1874 alla gloriosa istituzione lincea, naturalmente qualificata di “nazionale” e “reale”. L’Accademia di Sella, in un secolo ormai di vita, è generalmente considerata la maggior erede della tradizione cesiana. La larga e lungimirante visione del Sella volle ampliato l’ambito delle scienze lincee, da quelle fisiche, matematiche e naturali, cui si era dedicata l’accademia seicentesca, a quello delle scienze “morali” o umanistiche (storia, filologia, archeologia, filosofia, economia, diritto), cui lo statuto del 1875 e quelli susseguitisi (l’ultimo approvato con D.P.R. 17-5- 1986) destinano la seconda classe dei suoi Soci. Dalla restaurazione del Sella, l’Accademia dei Lincei consta dunque di due classi, una per le scienze fisiche e l’altra per le morali, in ognuna delle quali l’ultimo statuto prevede un numero massimo di 90 Soci nazionali e altrettanti corrispondenti e stranieri annualmente cooptati. Con questa struttura, rimasta nelle sue grandi linee immutata, i Lincei hanno vissuto il secolo e oltre della loro moderna reincarnazione, rappresentando il più antico e prestigioso consesso della scienza europea e internazionale: da Righi e Pacinotti a Fermi, da Pasteur a Rontgen e Einstein, da Mommsen e Wilamowitz a Comparetti e Croce e Gentile, tutto l’Olimpo del pensiero scientifico italiano e mondiale ha riempito il suo annuario e le sale della sua sede romana, il settecentesco Palazzo Corsini alla Lungara, che il patriota restauratore fece assegnare all’Accademia dallo Stato italiano. Ma le vicende di questo stesso Stato, nel corso del Novecento, dovevano trovare la loro eco anche in questa tranquilla sede della scienza. I Lincei di Cesi avevano rappresentato fin dalla loro nascita lo spirito della libera indagine moderna, combinata “col divino amore” (come si espresse il Fondatore), cioè aperta a una schietta, non dogmatica religiosità. I risorti Lincei di Sella furono figli del Risorgimento italiano, laico, liberale.

Lo Stato totalitario che per un ventennio dominò in Italia non poteva vedere di buon occhio quella indipendenza e quel liberalismo linceo. Perciò nel 1939 l’Accademia fu “fusa”, cioè assorbita per legge del Governo fascista con l’Accademia d’Italia da esso istituita quale docile contraltare ai severi Lincei. Questa ultima eclissi durò pochi anni, quanto durò la guerra e il Regime.

Alla sua caduta, uno dei primi provvedimenti dell’Italia liberata fu, su suggerimento di Benedetto Croce, la soppressione dell’Accademia d’Italia e la ricostituzione di quella di Cesi e di Sella, che la dittatura aveva voluto annientare.


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