Cronaca
Legambiente spiega la mucca pazza
02/12/2000
Domenica 3 dicembre Legambiente sarà a Latina, in piazza del Popolo, con un proprio punto informativo, vogliono così far conoscere la loro opinione sul problema mucca pazza, che tanto sta preoccupando lopinione pubblica. I responsabili di Legambiente affermano di possedere documenti ufficiali da cui «risulta che una azienda di Latina abbia prodotto le farine animali impiegate in mangimi per uso zootecnico (alimentazione del bestiame, inclusi polli e conigli) e che siano state utilizzate anche negli stabilimenti di unaltra azienda locale, che si occupa proprio della produzione di alimenti per animali e destina buona parte del proprio prodotto al mercato locale». Facile intuire a quali aziende gli ambientalisti si riferiscono, meno comprensibile è perché non ne vengono fatti i nomi nei loro comunicati ufficiali. Il Circolo di Latina di Legambiente sostiene, sempre in base a documenti in loro mano, che «le materie prime per ottenere questi prodotti derivano non solo da scarti di macellazione, ma anche da carcasse di animali morti per varie cause (afta epizotica, brucellosi, virus vari ecc.) e spesso anche di carcasse provenienti da cliniche veterinarie e da industrie farmaceutiche che usano cavie per la testazione dei farmaci». Un quadro davvero preoccupante, riscontrato dagli ambientalisti a livello locale e nazionale, tanto da fargli porre quattro domande: «1) Sulla base di quali elementi certi (analisi, campionamenti ecc.. .) si può dimostrare che la carne italiana e soprattutto quella locale è sicura? 2) La ASL di Latina, e in particolare il Servizio Veterinario, in proposito cosa dice? 3) Di tutti gli impianti che trasformano gli scarti animali (definiti impianti di colatura) che in Italia sono oltre 100, quale sicurezza produttiva possono dimostrare e quale garanzia possono fornire che i loro prodotti non rientrino nel ciclo della catena alimentare umana? 4) Circa quattro mesi fa, sono stati sequestrati a Cisterna, migliaia di prosciutti con il marchio contraffatto che probabilmente provenivano da cicli produttivi sospetti, evidenziando che esistono legami locali con organizzazioni nazionali e probabilmente internazionali che si dedicano a questo particolare tipo di affari; quanta merce è stata regolarizzata attraverso questi percorsi commerciali?». Legambiente tiene a precisare che le sue non sono accuse generalizzate verso la categoria produttiva, infatti, sono convinti che «non vi è alcun dubbio della buona fede degli allevatori italiani ed in particolare di quelli locali, anche se per la verità di bestiame al pascolo (uno dei principali fattori di alimentazione e di benessere degli animali) se ne vede ben poco, ma essi stessi sanno di essere solo la parte terminale, la più esposta e la più indifesa, di un processo controllato da altri, con criteri che sono tuttaltro che trasparenti».